Tartuficoltura - origini

Le origini della tartuficoltura paiono risalire ai primi anni del 1800, quando il contadino francese Joseph Talon di Croagnes. Per rimboschire il suo terreno, aveva usato ghiande, scoprendo, qualche anno più tardi, la presenza dei tartufi sotto le giovani querce. Intuendo che tra il rimboschimeno e la nascita dei tartufi ci doveva essere un collegamento, tentò altre prove, arrivando alla dimostrazione che il fatto non era casuale. Pare poi che un suo cugino venne a conoscenza della cosa, forse a causa della improvvisa agiatezza del parente, arrivandone a scoprire il motivo. Quest'ultimo non fu però così parco di informazioni, e ben presto rese la cosa di dominio pubblico, tanto che molti agricoltori iniziarono a produrre tartufi seminando ghiande.

Dal dipartimento di Vaucluse, dove tutto questo ebbe inizio, e che vide un profondo rimboschimento a base di querce, la tartuficoltura prese piede in altre zone, grazie anche al mercante August Rousseau, che ne portò alcuni esemplari a Parigi, vincendo l'Esposizione Universale del 1855. Da lì, ci fu una vera e propria "esplosione da tartufo", tanto che il rimboschimento con ghiande venne fatto oggetto di provvedimenti amministrativi, e nei decenni seguenti furono scritti innumerevoli manuali riguardanti la questione, alcuni dei quali ancora oggi contengono nozioni importanti per gestire una tartufaia, come quello scritto da De Bosredon, nel 1887. In settanta dipartimenti, venivano prodotti circa 1500-2000 tonnellate di tartufi l'anno. Tutto questo, dopo che per decenni la Francia aveva esportato tartufi da Italia e Spagna.

In seguito, con l'avvento delle due guerre mondiali e il relativo abbandono delle campagne e del cambiamento dell'economia rurale, la produzione di tartufi ha subito un notevole arresto. Il livello di crisi era tale che la produzione si attestava, nel 1970, intorno alle 50-90 tonnellate, con una necessità di mercato che arrivava a richiedere circa 500 (cifra che poteva facilmente aumentare con un po' di pubblicità mirata). A questo punto storico, comunque, l'arte della gestione della tartuficoltura si era sparsa in vari paesi, migliorando la sua resa grazie al crescente apporto della scienza.

Negli ultimi decenni, si è assistito poi a una fase di stasi, nonostante i periodici inviti verso questa redditizia attività. Solo enti pubblici o grandi aziende paiono essersi interessate alla tartuficoltura, da cui i piccoli-medi proprietari terrieri si sono tenuti alla larga. Eppure, oggi, grazie alla consapevolezza che il tartufo è un corpo fruttifero sotterraneo di un fungo, legato al fenomeno della micorrizia, alla conoscenza di quest'ultima e all'imponente progresso scientifico, la tartuficoltura lascia ben poco spazio al caso, e potrebbe essere un'attività molto redditizia, anche per piccoli imprenditori, che talvolta potrebbero perfino usufruire di sovvenzioni regionali.

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